Le scuse più frequenti per non andare dallo psicologo (parte 2)

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Prosegue il viaggio nelle motivazioni più frequenti per cui le persone non si rivolgono a uno psicologo anche se si trovano ad affrontare momenti difficili. Dopo la pretesa di farcela da soli e il non voler ricevere consigli da un estraneo, oggi esploriamo altre due posizioni critiche che possono nascondere una forma di pregiudizio nei confronti di questa figura professionale.

Motivazione #3: Sono fatto/a così, non posso cambiare

Molte persone pensano di essere nate con un particolare carattere e che questo sia immodificabile. Oggi sappiamo che il modo migliore di considerare la personalità è il riferimento bio-psico-sociale. Infatti la personalità di qualunque individuo è composta da tre parti: biologica, psicologica e sociale.
immagine: motivi per non andare da uno psicologo - sono fatto così / Photo by Thomas Griesbeck on Unsplash
È stato appurato che una parte è sicuramente genetica (quindi ereditata), ma questo non vuol dire che sia immutabile. Da tempo le ricerche mostrano come l’ambiente circostante possa esercitare influenze anche sui geni che compongono il DNA; quelle più recenti (Psychoterapy and Psychosomatics, agosto 2014) evidenziano la capacità della psicoterapia di influire sull’aspetto genetico di un soggetto.

L’apprendimento di comportamenti che proviene dall’ambiente in cui vive un individuo si innesta sulla parte genetica e corrisponde all’apprendimento sociale. Le due parti insieme formano una combinazione unica per ogni persona definita personalità, cioè l’insieme di credenze, di comportamenti, di obiettivi e di valori che caratterizzano ogni individuo. Sembrerebbe quindi che, di aspetti immutabili, la personalità umana non ne abbia.
immagine: motivi per non andare da uno psicologo - personalità / Photo by Andrew Seaman on Unsplash
Naturalmente modificare i propri comportamenti richiede tempo e allenamento; in presenza di credenze disfunzionali (quelle convinzioni che non ci permettono di raggiungere i nostri obiettivi, per esempio “Sono fatto così e non posso cambiare”), il lavoro psicoterapeutico dovrà prima affrontare questo limite che, altrimenti, saboterà qualsiasi tentativo di cambiamento. Ma attenzione: la psicoterapia non ha la pretesa di stravolgere una persona, cerca di aiutarla a modificare quei pensieri o comportamenti che gli impediscono di raggiungere i propri scopi.

Motivazione #4: Siamo sicuri che parlarne serva a qualcosa?

Prima di tutto, una precisazione: non esiste un unico modo di fare psicoterapia. Dai primi casi di Freud a oggi, gli studi sono proseguiti con sempre maggiore rigore scientifico e hanno portato alla scoperta di molte tecniche e strumenti oltre al classico colloquio clinico (il biofeedback, il neurofeedback, la tecnica EMDR, la Mindfulness, ecc.) attraverso cui il soggetto stesso può valutare il miglioramento: osservando le proprie reazioni interne su schermi, notando la diminuzione del proprio disagio usando scale di autovalutazione, vivendo il miglioramento negli aspetti della sua vita per cui aveva chiesto aiuto al di fuori della stanza del terapeuta.

Volendo rispondere alla domanda iniziale, la psicoterapia poggia su evidenze e ricerche scientifiche: le Linee Guida dell’American Psychiatric Association sono stilate su una rigorosa revisione di tecniche e protocolli utilizzati dai diversi orientamenti terapeutici.
A proposito di evidenze, varie ricerche confermano l’efficacia della talking cure (cioè la cura attraverso la parola) sulla plasticità del cervello (Michielin P. & Bettinardi O., 2004, Prove di efficacia e linee guida per i trattamenti psicologici e le psicoterapie. Link Rivista Scientifica di Psicologia, No. 05 giugno 2004, pp. 6-26).
immagine: motivi per non andare da uno psicologo - parlare serve / Photo by Nick Fewings on Unsplash
È vero che una semplice chiacchierata non è sufficiente ad aiutare una persona che affronta una difficoltà, servono studi e ricerche che strutturino il colloquio psicologico; ma è altrettanto vero che, se lo specialista usasse un approccio puramente scientifico, probabilmente risulterebbe molto distante dai bisogni e dalle richieste dei suoi pazienti. Uno degli aspetti più interessanti del lavoro dello psicologo è proprio l’equilibrio implicito fra la scienza e l’emozione; anche la medicina sta rivalutando sempre di più l’approccio umano nel contatto con il paziente. Questa vicinanza empatica è ciò che più caratterizza la formazione dello psicologo e le aspettative delle persone che si rivolgono a lui.

A riprova di quanto sia importante l’empatia, alcuni clienti si preoccupano quando incontrano una psicologa giovane, oppure se sentono che la loro esperienza è stata talmente dolorosa da non poter essere condivisa con nessuno. In realtà, spesso lo psicoterapeuta ha una naturale capacità di avvicinarsi all’emozione dell’altro, anche se non l’ha vissuta in prima persona; forse sceglie il suo lavoro proprio per questo motivo. In ogni caso, che sia predisposto o meno, viene appositamente formato per riuscire a entrare in risonanza con ciò che gli viene raccontato (McWilliams N., La diagnosi Psicoanalitica, 2012).
immagine: motivi per non andare da uno psicologo - dolore troppo grande da raccontare/ Photo by Sharon McCutcheon on Unsplash
Infine, molto spesso il racconto partecipato di chi soffre è in grado di generare nell’ascoltatore emozioni simili a quelle che lui sta provando. Lo dimostra il fatto che, dopo l’ascolto, il terapeuta riesce a descrivere quelle stesse emozioni grazie a metafore o racconti, restituendo al paziente l’esperienza che sta vivendo e facendolo sentire compreso.

Ora che ne sai di più sulla figura dello psicologo (e dello psicoterapeuta), sta a te decidere se rivolgerti a uno di loro per superare le tue difficoltà.