L’attaccamento in psicologia: sentirci protetti o meno da piccoli ci condiziona per tutta la vita

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John Bowlby, lo psicologo che per primo studiò l’attaccamento, lo definisce così: “Insieme di comportamenti tesi a conseguire la prossimità fisica con una figura che può proteggere e confortare”. Lo scopo dell’attaccamento è quello di ottenere che qualcuno protegga il bambino se prova sentimenti di paura, dolore, sconforto. Di fronte a tali sentimenti si attiva in maniera spontanea il sistema motivazionale dell’attaccamento (SMI), cioè tutti quei comportamenti di ricerca della prossimità. Lo SMI dell’attaccamento si disattiva quando il bambino trova conforto, cure e prova gioia; in questo modo si sentirà protetto e pronto per provare nuove esperienze.

Un aspetto importante del sistema dell’attaccamento è che esso non è legato al concetto di dipendenza, anzi, è l’esatto contrario: la qualità dell’attaccamento è legata alla capacità di esplorare, all’autonomia, all’indipendenza. Infatti, se la relazione che si è instaurata con la figura di attaccamento (di solito la madre, ma più in generale la persona che ha passato più tempo con il bambino entro i primi 3 anni di vita) è sicura, il bambino diventando adulto avrà sviluppato una sana fiducia negli altri (un insegnante, un partner, un amico), nei quali vedrà una base sicura a cui poter ricorrere nei momenti di vulnerabilità senza sentire minacciata la propria autonomia e indipendenza.
immagine: attaccamento - prossimità fisica e conforto / Photo by Jenna Christina on Unsplash

Gli stili di attaccamento

Esistono 4 stili di attaccamento:
  • sicuro
  • ambivalente-resistente
  • evitante
  • disorganizzato
I primi tre sono organizzati, cioè prevedono la messa in atto di strategie coerenti per raggiungere la meta. L’attaccamento disorganizzato, invece, non ha una strategia coerente: il bambino è portato a cercare la vicinanza se prova sentimenti di paura, sconforto, dolore, ma fa cose incongrue con il raggiungimento della meta. La definizione di disorganizzazione è stata codificata molto più tardi rispetto ai primi studi sull’attaccamento; la sua relazione con la psicopatologia è molto recente. Nel 1999, Lyons-Ruth e Jacobvitz spiegano questo stile di attaccamento attraverso il concetto di disorientamento: il bambino sembra non sapere qual è lo scopo, anche a causa dell’oscillazione dell’attenzione della figura di attaccamento. Questa, infatti, non riconosce i segnali del figlio; a volte coglie i suoi bisogni, altre volte no.

Le esperienze relazionali precoci modellano le nostre strutture mentali

Dalle esperienze di attaccamento precoce derivano degli schemi riguardanti il sé e il sé con gli altri, detti modelli operativi interni. Le esperienze che si fanno nelle prime fasi della vita vengono memorizzate e generalizzate:
- per trovare delle regolarità che diano una prevedibilità su quale possa essere il comportamento migliore per il raggiungimento dello scopo prefissato
 - per diventare elementi primari di conoscenza di sé e degli altri.

Questi schemi rappresentano la dimensione emotiva e cognitiva, spesso implicita e inconscia, che modulerà il modo in cui il soggetto nel corso della sua vita costruirà, manterrà, romperà, riparerà i propri rapporti affettivi: tendenzialmente il nostro modo di instaurare o rompere le relazioni si ripete simile con persone diverse e in ambiti diversi. L’inconscio è una dimensione non immediatamente consapevole, che però può diventare consapevole con una terapia o una profonda riflessione personale.
immagine: attaccamento - costruzione delle relazioni / Photo by Will O on Unsplash
È possibile individuare quattro tipi di modelli operativi interni (MOI) a partire da quattro tipi di risposte dei genitori alle richieste del bambino, le quali producono quattro tipi di attaccamento:

  1. MOI Sicuro: aspettative positive sulle risposte degli altri alle proprie richieste di aiuto e di conforto. Questo ha un riflesso sullo schema di sé (immagine positiva e schema “degno di essere amato”) e dell’altro (“sono persone da cui aspettarsi conforto”).
  2. MOI Evitante: aspettative di rifiuto e acritico tentativo di autosufficienza anche in situazioni di difficoltà. Lo schema di sé è “indegno di essere amato, debole, inadeguato”.
  3. MOI Ambivalente: aspettative incerte e oscillanti tra accettazione rifiuto, ostilità e risentimento verso l’altro.
  4. MOI Disorganizzato: aspettative drammatiche e catastrofiche come conseguenza del chiedere aiuto.
Lo studio di Baltimora su persone di 18 anni ha dimostrato corrispondenza tra stili di attaccamento da bambino e da adulto.

 STILI DI ATTACAMENTO
 del bambino (valutabile tra 18 e 36 mesi con la Strange Situation*)  dell’adulto (valutabile attraverso la AAI**)
 Evitante - A  Rifiutante – Ds (Dismissing)
 Sicuro - B  Libero – F (Free)
 Ambivalente - C  Invischiato – E (Entangled)
 Disorganizzato - D  Irrisolto rispetto a un trauma – U (Unresolved)

*La Strange Situation è un test che consiste nell’allontanare il bambino dalla madre per poi far ricongiungere i due, a cui partecipa anche una terza persona a loro estranea.
**L’AAI è un questionario basato su delle interviste riguardanti la propria infanzia.

Gli schemi di sé e gli schemi interpersonali, quindi, sono relativamente stabili e operano al di fuori della consapevolezza immediata ed esplicita; producono una modalità di interazione quasi automatica, in quanto appresa in età precoce: il bambino, nelle prime fasi dello sviluppo, fa ricorso alle strategie comportamentali più funzionali alla vicinanza e incorpora, a livello mentale, quelle più efficaci.
Ma se l’attaccamento è insicuro, il bambino può diventare rigido nel modo di relazionarsi, dato che avrà sviluppato un’unica strategia di comportamento che poi verrà generalizzata: opererà in automatico in un ambiente prevedibile, ma di fronte a contesti sociali e fisici diversi si troverà in difficoltà.
immagine: attaccamento insicuro - rigidità nel relazionarsi / Photo by Kyle Glenn on Unsplash
Le persone con attaccamento sicuro integrano le nuove informazioni sull’andamento della relazione (anche contrastanti) in rappresentazioni flessibili, così che le informazioni discrepanti con le proprie aspettative di essere protetto vengono collocate tra le eccezioni e non scardinano la sicurezza di base.
Le persone insicure, poiché hanno schemi più rigidi, non riescono a integrare le informazioni discordanti e tendono a escludere le informazioni che smentiscono le loro idee. Questa rigidità ha a che fare con il modo in cui funzionano i processi di elaborazione delle informazioni e come queste vengono immagazzinate in memoria.

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