Il senso profondo della skin hunger, la mancanza delle esperienze tattili

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La pandemia limita i nostri spostamenti, le nostre relazioni sociali e i contatti fisici con le altre persone. Il senso più penalizzato è il tatto: da mesi non stringiamo mani, né ci abbracciamo. Molti di noi stanno affrontando questo momento da soli. Questa condizione altera il nostro equilibrio psicofisico e può farci sperimentare una vera e propria astinenza da contatto (o skin hunger). Una sensazione tanto intensa quanto comprensibile sul piano scientifico, alla luce delle caratteristiche che hanno permesso alla specie umana di sopravvivere e evolvere fino a oggi. Anche se in parte possiamo colmare la distanza tra noi e gli altri con la tecnologia, contrastare i disturbi legati all’impossibilità di toccarci è difficile. Difficile, sì, ma non impossibile. Ma che cos’è il tatto e perché è così importante per noi?

Il tatto è il senso che ci permette di riconoscere le caratteristiche fisiche delle cose a contatto con il nostro corpo: forma, durezza, temperatura e così via. Il passaggio di informazioni dall’esterno del corpo al cervello avviene tramite recettori; sono delle fibre nervose che percepiscono il cambio di pressione esercitato dagli oggetti anche su porzioni piccolissime di pelle. Le parti del nostro corpo più ricche di recettori (e quindi più sensibili) sono i polpastrelli, le labbra, le piante dei piedi [1].

skin hunger – tatto / Foto di Claudio Schwarz | @purzlbaum - Unsplash

Il tatto ci dà sicurezza e affetto, da quando nasciamo alla vita adulta

Nei neonati, il tatto è un senso fondamentale: il riflesso della prensione, che fa stringere la loro manina attorno al dito del genitore, è un’istintiva ricerca di sicurezza e affetto. Il calore percepito nel contatto pelle a pelle, subito dopo la nascita, stabilizza i loro parametri vitali. Crescendo, il contatto ravvicinato favorisce le capacità di apprendimento e lo sviluppo emotivo; il bambino, sicuro e protetto in braccio alla mamma o al papà, è più aperto all’esplorazione del mondo[2].

Anche la nostra vita da adulti è costellata da tante piccole esperienze tattili, come le strette di mano e le pacche sulle spalle. Gesti che hanno su di noi un effetto calmante, perché attivano i recettori di pressione, che trasportano le informazioni dalla pelle al nervo vago. Si tratta di un nervo cranico che distende il sistema nervoso, rallenta i battiti del cuore e abbassa la pressione. Grazie alle esperienze tattili, anche la produzione di cortisolo (il cosiddetto ormone dello stress) si riduce; aumenta invece l’ossitocina, altro ormone che consolida i legami e che è rilasciata in grandi quantità durante il parto e nel rapporto sessuale[3].

skin hunger – riflesso prensione neonati / foto di Aditya Romansa - Unsplash

La mancanza del tocco in pandemia abbassa le nostre difese immunitarie

Purtroppo il tatto e i suoi benefici effetti sono stati spazzati via dalla nostra quotidianità dalla pandemia. Questa mancanza, unita alla drastica riduzione delle relazioni sociali e del tempo passato all’aperto, ha delle ricadute concrete sul nostro benessere, in termini di:
  • disturbi del sonno
  • rapporto squilibrato con il cibo
  • mancanza di motivazione
Non solo. I livelli di cortisolo aumentano e abbattono le cellule natural killer: sono importantissime, perché individuano e attaccano le cellule colpite da tumori o virus. Di fatto, senza tocco il nostro sistema immunitario è più debole[4].

La condizione di sofferenza legata all’impossibilità di toccarci è quindi perfettamente normale, tanto da avere un nome: skin hunger (letteralmente fame di pelle). Come la fame di cibo, è una sensazione che si manifesta quando ci sentiamo privi di nutrimento; l’unica differenza è che, nel caso della skin hunger, il nutrimento di cui abbiamo bisogno è il contatto fisico.

skin hunger – pandemia / Catherine Cordasco per United Nations COVID-19 Response

Il nostro bisogno di contatto ha delle profonde radici biologiche

Questa esigenza è un’eredità biologica delle specie animali che trovano nella convivenza in gruppi un’arma in più per la sopravvivenza.
La centralità dell’esperienza tattile nel nostro sviluppo è stata dimostrata da un famoso esperimento condotto negli anni ’60 dallo psicologo statunitense Harlow[5].

Le madri biologiche di alcuni piccoli di macaco sono state sostituite con due tipi di surrogati materni inanimati: uno di legno e filo e uno ricoperto di gommapiuma e spugna. La funzione nutritiva è stata di volta in volta attribuita all’uno o all’altro. In tutti i casi, i piccoli preferivano accoccolarsi vicino al surrogato morbido, spostandosi brevemente solo per mangiare.

È plausibile pensare che la morbidezza dei materiali ricordasse ai piccoli macachi il calore del contatto con il pelo materno. Dall’esperimento di Harlow si deduce che:
  • affetto e vicinanza nei piccoli sono bisogni primari tanto quanto il nutrimento
  • il ruolo del genitore non si limita all’accudimento, ma deve essere sostenuto dall’attaccamento.
Queste evidenze sono ben visibili anche nella specie umana, per esempio quando il bambino instaura un legame particolare con il suo peluche. Il morbido pelo del pupazzo fa sentire il piccolo al sicuro in un momento di distacco prolungato dalle figure di riferimento, come il riposo notturno.

La tecnologia può essere un aiuto, ma non un sostituto dei contatti umani

In un periodo di distanza forzata, le tecnologie possono aiutare a colmare la mancanza, ma i sensi coinvolti in queste esperienze sono limitati: nessuna tecnologia è attualmente in grado di riprodurre il tocco umano.
Tra distanza forzata e interazione virtuale con gli altri, il rischio è di andare incontro a una società sempre più no touch: anche dopo la pandemia, probabilmente vivremo con più diffidenza la vicinanza fisica di qualcuno.

skin hunger – contatti virtuali / Nubefy Design for All per United Nations COVID-19 Response


I segnali sono già sotto i nostri occhi da tempo. Uno studio globale pre-Covid del Touch Research Institute di Field (Università di Miami) ha indagato le interazioni tra passeggeri in attesa di volare negli aeroporti. Su un totale di 4000 casi analizzati, il 98% delle volte il contatto tra le persone era completamente assente, soppiantato dall’uso dello smartphone.[6]

Per nostra stessa natura, non possiamo permetterci di abbandonare il tatto e la socialità e i lockdown ce lo fanno capire molto chiaramente.

Cerchiamo il tatto nelle piccole cose di tutti i giorni

Come si può affrontare la skin hunger durante una pandemia, soprattutto se si vive da soli? Dando spazio a tutte le tutte forme di stimolazione tattile che possiamo fare nel rispetto delle regole:
  • camminare. Come già detto, le piante dei piedi sono molto sensibili dal punto di vista tattile. Possiamo camminare nella nostra stanza (possibilmente senza scarpe, per godere a pieno del contatto con il pavimento), oppure all’aperto, per esempio su un sentiero, dove possiamo godere anche degli effetti benefici della luce del sole.
  • massaggiarsi. Nel massaggio la pelle si muove ed è sottoposta a pressione. Stimolare il cuoio capelluto o spalmarsi una crema sul viso o sul corpo sono esempi di massaggio alla portata di tutti. Sono ancora più efficaci se li sperimentiamo prima di andare a dormire: il rilassamento che se ne ricava, infatti, può favorire un sonno profondo.
  • accarezzare un animale. Gli animali possono generare in noi tenerezza e affetto e connetterci in modo profondo alle nostre emozioni, come è ampiamente dimostrato dalla pet therapy. Attraverso il contatto del suo pelo con le nostre dita, un amico a quattro zampe ci offre una piacevole occasione per ritrovare la calma.
Tutte queste pratiche attivano lo scambio di informazioni tra recettori della pressione e nervo vago, che distende il nostro corpo e migliora il nostro umore.


[6] https://www.wired.co.uk/article/skin-hunger-coronavirus-human-touch