Il self-talk ci aiuta a superare l’avversario più temibile: noi stessi

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Ogni volta che facciamo sport, dentro di noi si gioca una partita a parte. Secondo il coach statunitense Tim Gallwey, i giocatori di questo inner game sono Self 1 e Self 2.
Self 1 ci vuole dire come giocare, ci ricorda gli errori che abbiamo fatto e cosa potrebbe succedere se dovessimo fallire ancora. Self 2 rappresenta le nostre potenzialità, la parte che può apprendere durante la pratica e giocare bene.
Ma Self 1 non ce lo permette. Con le sue continue interferenze ci fa sentire preoccupati, nervosi, giudicati e convinti che non possiamo farcela. È lui il vero avversario da battere, prima di quello sul terreno di gioco. Tutto questo avviene mentre all’esterno stiamo affrontando una gara reale o un avversario in carne e ossa.
Solo eliminando la disfunzionalità dal dialogo tra Self 1 e Self 2 possiamo raggiungere uno stato di concentrazione rilassata e dare il massimo. Una triangolazione perfetta tra performance, divertimento e apprendimento.
Come interrompere una concatenazione di pensieri negativi o ansiosi mentre si fa sport?
self-talk – inner game gallwey / foto di Lucas Davies - Unsplash

Il potere della parola nell’allenamento e nella pratica sportiva

I coach propongono vari metodi. Pronunciare la parola “stop” ad alta voce (thought stopping), tendere un elastico indossato al polso ogni volta che avvertiamo un pensiero negativo, individuare le frasi negative nel nostro cervello (self-talk journaling), smontarle e riformularle al positivo (thought replacement).
Proprio questa ultima via, affrontare il momento di difficoltà parlando con noi stessi in termini positivi e incoraggianti, sembrerebbe influire davvero sulla resa atletica. La Brock University Ontario ha condotto uno studio su un campione di ciclisti agonistici, sottoponendoli a un allenamento intensivo ad alte temperature. È emerso che chi affrontava fatica e caldo formulando pensieri motivazionali (del tipo “sto bene”, “posso farcela”), dopo 2 settimane riusciva a coprire pedalando un 25% di distanza in più rispetto agli altri.
È il potere della parola: secondo la psicologia storico-culturale di Vygotsky, da bambini ci permette di interiorizzare cultura e significati; diventa poi mezzo di coscienza sotto forma di dialogo interiore (o self-talk).
self-talk – linguaggio e bambini vygotsky / foto di Paul Hanaoka - Unsplash

Che cos’è il self-talk?

Secondo la definizione di Hardy (2006) perfezionata da Van Raalte (2016), il self-talk è l’espressione di una posizione interna il cui mittente e destinatario coincidono.
Che sia silenziosa o pronunciata ad alta voce, deve essere riconoscibile dal punto di vista sintattico: deve contenere cioè un soggetto, un oggetto e/o uno o più complementi). Urla e gesti di stizza che a volte vediamo nel campo da gioco sono quindi estranei a questo concetto.
Il self-talk ha varie funzioni, tra cui quella:
  • espressiva. Dà forma a intuizioni, emozioni e altri pensieri in forma non verbale. Quando l’atleta riconosce dentro di sé la frase “in questo momento sono molto agitato” ne prende pienamente coscienza e può così reagire.
  • autoregolante. Il dialogo interiore può aiutare a focalizzare l’attenzione, controllare le reazioni emotive, accrescere la fiducia in se stessi, facilitare l’esecuzione automatica del gesto atletico.

La dissonanza tra self-talk e pensieri spontanei è nemica di una buona performance

La teoria a doppio processo del pensiero vede nella nostra mente la coesistenza di due sistemi:
- il sistema 1, che coinvolge l’intuizione, le prime impressioni e le sensazioni di pancia;
- il sistema 2, che lavora più lentamente e stimola la memoria e lo sforzo cognitivo.
La funzione espressiva del self-talk sollecita il sistema 1, quella autoregolante il sistema 2. I due sistemi devono essere armonici tra loro; in caso contrario, l’atleta percepirà una dissonanza tra pensieri spontanei e formule orientate a un dato obiettivo. Dissonanza che potrebbe avere effetti controproducenti sulle prestazioni sportive.

Esempio: posso sollecitare il mio sistema 2 con un self-talk del tipo “sono il/la migliore”. Se però il mio sistema 1 si attesta su considerazioni come “non sono abbastanza capace”, non raggiungerò i risultati sperati (anzi, tutto il contrario).

In generale, il self-talk positivo funziona bene con le persone con una buona autostima, mentre può causare disagio nelle persone con scarsa fiducia in sé.

self-talk – funzione autoregolante / foto di Stefan Cosma - Unsplash

C’è un self-talk giusto per ogni tipo di prestazione atletica

Da un’analisi più approfondita dei contenuti del self-talk nello sport sono emerse due tipologie di dialogo interiore: istruzionale (es. “piega bene le ginocchia”) e motivazionale (“continua così”).
Uno studio dell’Università della Tessaglia su un campione di 32 studenti ha dimostrato che entrambe migliorano le performance, con effetti diversi sui compiti da eseguire:
  • il self-talk istruzionale incide di più sulla motricità fine (coordinazione occhio-mano, destrezza, precisione, accuratezza);
  • il self-talk motivazionale è più efficace con la motricità grossolana (resistenza, forza, potenza). 
È importante trovare l’abbinamento giusto tra tipo di self-talk e compito. Coach e atleta dovranno comunicare tra loro per scegliere contenuto e forma più adatti all’atleta-persona e ai suoi compiti-obiettivi. Così facendo, il dialogo interiore rafforzerà il suo allenamento e potrà essere applicato con successo all’inizio e nel corso dell’apprendimento di una disciplina sportiva.


Altre fonti: