L’ACT contrasta l’evitamento esperienziale alla base della dipendenza, anche tecnologica

18:00 0 Comments A+ a-

Tra le dipendenze del nuovo millennio, oltre a sostanze stupefacenti, alcol e fumo, sono sempre più studiate quelle legate alla tecnologia. La proliferazione di supporti e canali comunicativi che ci connettono agli altri (pensiamo a smartphone e social media) innesca in noi il desiderio di ciò che avvertiamo come mancanza: di oggetti da comprare o esperienze da vivere, di notizie su un dato argomento, di evasione dalla quotidianità. L’esasperazione della ricerca e l’allungamento del tempo di permanenza in rete possono nascondere la volontà di evitare i nostri stati interiori, specie se non ci fanno stare bene. Questo meccanismo è anche alla base di una condizione di dipendenza. Vediamo come la tecnica psicologica ACT può intervenire per arginarla.

Cosa si intende per dipendenza?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica come dipendenza una condizione fisica o psichica data dall’interazione di un organismo con una sostanza che porta al bisogno compulsivo di assumere la sostanza, sia per provarne gli effetti psichici, sia per evitare il malessere dato dall’astinenza[1].
La sostanza non è per forza materiale, può essere anche un comportamento che non riusciamo ad abbandonare.

Il libro In sostanza, Manuale sulle dipendenze patologiche (Lugoboni e Zamboni, 2018) si concentra su due dipendenze di tipo tecnologico:

  • il gioco d’azzardo patologico (GAP), una modalità di gioco ricorrente, persistente e in grado di generare forti emozioni negative come tristezza, ansia o solitudine. È uno dei disturbi del controllo degli impulsi, che comprendono alimentazione incontrollata, onicofagia (mangiarsi le unghie), tricotillomania (strapparsi i capelli) e altri gesti preceduti da tensione o eccitazione e seguiti da piacere o sollievo[2].
  • l’Internet Addiction Disorder (IAD) o comportamento di dipendenza da internet, menzionato per la prima volta dallo psichiatra americano Golberg nel 1995. Indica “un uso problematico, eccessivo o disfunzionale della rete”. La definizione è stata poi ampliata negli anni successivi per identificare un uso né pratico, né lavorativo, né piacevole di internet, ma che soddisfa una necessità impulsiva e incontrollabile. Le persone che soffrono di questa dipendenza investono molto tempo in rete, a discapito delle attività quotidiane e della sfera psico-sociale. In caso di mancato collegamento, il loro disagio raggiunge stati angosciosi e ansiosi che possono assumere le dimensioni di una crisi d’astinenza[3].
ACT e dipendenze – internet addiction disorder / foto di Becca Tapert - Unsplash

Questa seconda patologia è particolarmente insidiosa, perché grazie a strumenti che sono entrati a far parte delle nostre abitudini d’uso quotidiane (come per esempio gli smartphone) e alla pervasività degli spazi virtuali in molte delle nostre esperienze (pensiamo a quante azioni compiamo abitualmente con un click o un tap), siamo costantemente esposti al rischio.
Particolari limitazioni alle relazioni sociali di persona, come per esempio i lockdown dovuti alla pandemia di Covid-19, possono creare le condizioni ideali per un abuso della rete, specie tra gli adolescenti. Sono loro la fascia di popolazione più a rischio, perché sono nati in un mondo già digitalizzato e il confine tra online e offline è sempre più sfumato per loro. Non a caso, i nati tra il 1996 e il 2009 sono chiamati anche iGeneration.


Come si interviene a livello psicologico sulle dipendenze, tecnologiche e non?

Da uno studio su persone con dipendenza da eroina è emerso che la principale motivazione che spinge le persone sviluppare una dipendenza è la difficoltà a mettere in atto processi di coping, ossia l’incapacità di fronteggiare una situazione nuova o avversa, che ci causa stress[4]. Chi si rifugia nelle dipendenze spesso fugge da frustrazioni, dolore e sensi di colpa[5]. Mette in atto un evitamento esperienziale, con l’illusoria sensazione di stare meglio nel breve periodo, ma alla lunga sprofonda sempre di più nella sofferenza, scollegandosi dal presente.

ACT e dipendenze – evitamento esperienziale / foto di Sasha Freemind - Unsplash

Con il suo approccio orientato all’accettazione dell’esperienza dolorosa e al distaccamento dai propri pensieri, l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) va proprio nella direzione opposta: ci aiuta ad accogliere tutte le sensazioni, imparando a riconoscerle come prodotti della mente e non come fatti; in questo modo possiamo stare nel momento lucidamente (mindfulness), senza sentirci sopraffatti dal carico emotivo che porta con sé.
Attraverso il sé come contesto possiamo anche individuare i nessi tra eventi scatenanti e nostri stati d’animo e renderci conto di cosa ci fa reagire in un certo modo, senza mettere in atto meccanismi autogiudicanti.

Oltre ad aiutarci a riorganizzare il nostro rapporto con i pensieri e le nostre esperienze interne[6], un altro importante beneficio dell’ACT è quello di ridurre la percezione dello stigma sociale nella persona con dipendenza, che la limita nell’accesso al supporto di cui ha bisogno. Chi vive questa condizione, infatti, si sente spesso impotente e prova sfiducia rispetto alla possibilità di riuscire ad abbandonare modelli di comportamento dannosi. Con il suo invito ad accettarsi per quel che si è, aspetti negativi compresi, l’ACT
  • elimina le barriere iniziali rispetto alla psicoterapia;
  • permette alla persona con dipendenza di negoziare un impegno concreto al cambiamento per raggiungere obiettivi realistici[7].
ACT e dipendenze – impegno al cambiamento / foto di Andrew Shelley - Unsplash

In conclusione, la dipendenza è spesso il risultato di una strategia maladattiva di evitamento esperienziale; quella tecnologica è caratterizzata dall’impulsività e dall’incontrollabilità. L’ACT, che lavora proprio sul metterci in contatto con il presente (in termini di esperienze, pensieri e stati d’animo) è un approccio molto utile
  • per accettarci pienamente per quel che siamo senza la pretesa di rifiutare ciò che non ci piace
  • per imparare ad affrontare situazioni stressanti anziché scappare
  • per osservarci con distacco anziché agire con impulsività
  • per prendere in mano la situazione e muoverci in vista di un valore e di obiettivi raggiungibili anziché restare fermi nel nostro malessere individuale.
Vuoi capire meglio come funziona una terapia ACT orientata all’abbandono di una dipendenza? Parliamone insieme.